I tanti account aperti, a cominciare da quello di Google che utilizziamo tutti i giorni, che siano di social network come Facebook o Instagram, o di siti web che consultiamo spesso (come ad esempio blog e siti di informazione di cui possediamo un account utente) ci espongono ad una inevitabile “fuga” di dati privati.
I siti che visitiamo ogni giorno tengono traccia dei nostri movimenti con i cookies e li usano per proporci inserzioni mirate durante la nostra navigazione.
Se ad esempio possediamo degli account cliente su siti di e-commerce di ogni tipo, è probabile che nel processo di apertura dell’account avremo dato il consenso ad aderire ad una newsletter, ed il risultato sono una serie infinita di email che ci propongono sconti, offerte e promo.
O ancora, è possibile che se non abbiamo impostato come si deve le impostazioni della privacy del nostro account Facebook, saremo bersagliati puntualmente da richieste di amicizia o di iscrizione a gruppi o pagine da parte di perfetti sconosciuti.
Una vera seccatura. Ed anche una condotta che potrebbe presentare dei rischi per la nostra privacy digitale.
Per fortuna esistono alcuni accorgimenti base che possiamo adottare per proteggere la nostra privacy online. Scopriamoli!
Come proteggere la nostra privacy digitale: i consigli
Ormai tutti sappiamo che i siti web che visitiamo tracciano i nostri movimenti in rete.
Visitare un sito web attiva i codici di analisi che servono a contare quanti visitatori una pagina riceve e quindi la popolarità della stessa. Allo stesso modo, i proprietari di tali codici (Google ad esempio) li adoperano per proporci inserzioni mirate e annunci in base a quelli che – visto il nostro comportamento online – dovrebbero essere i nostri interessi.
Usare la navigazione in incognito
La navigazione in incognito, o privata ci permette di aprire sessioni online isolate, ovvero senza memoria a lungo termine. Come?
Navigando in incognito, la cronologia di navigazione non viene salvata, e cookies e tracker vengono cancellati a sessione chiusa.
Di solito la navigazione in incognito viene usata per escludere dalla cronologia alcuni siti specifici, o anche per aggirare temporaneamente i paywall dei siti web.
Qual è il limite della navigazione in incognito? Questa non impedisce necessariamente il tracciamento completo di tutte le informazioni condivise con quel sito web, per diversi motivi tra cui la presenza di estensioni specifiche sul browser, o per falle intrinseche nello stesso.
Usare una VPN, rete privata virtuale
Alcuni antivirus mettono a disposizione degli utenti degli anti-tracking personalizzabili per bloccare il tracking dei dati di navigazione.
Né la navigazione in incognito né gli anti-tracking possono impedire però la condivisione di dati tra noi ed il provider internet (ISP). E sono proprio i provider che raccolgono e vendono per scopi commerciali tali dati.
Utilizzare dei filtri VPN (cosa sono? Ne parleremo nei prossimi articoli!), ovvero una rete privata virtuale che usa un canale privato (tunnel) e cifrato di comunicazione tra il nostro dispositivo ed un server “taglierà fuori” il provider, che non potrà decodificare le comunicazioni nella rete VPN.
Le reti VPN sono una soluzione usata in ambito aziendale e per collegare su una rete privata uffici e sezioni fisicamente lontane, senza il rischio di condivisione e furti di dati.
Attenti alle impostazioni sulla privacy dei social network
I social network come Facebook e Instagram offrono diverse opzioni di impostazioni sulla privacy.
Chi può vedere i nostri contenuti come post, foto e video, di chi vogliamo visualizzare in bacheca gli aggiornamenti, chi può vedere le nostre impostazioni personali (data di nascita, luogo di lavoro, stato civile etc), e chi può inviarci richieste di amicizia o di iscrizione.
E non solo, ad esempio su Facebook possiamo consentire o meno agli utenti di taggarci o scriverci messaggi privati, e persino se rendere disponibile o meno ad apparire su motore di ricerca il nostro profilo.
Sui social network è possibile dunque impostare la privacy su più livelli, adattabili a seconda dell’uso che facciamo di quel social: privato, professionale o commerciale che sia.
Spendere del tempo per adeguare le impostazioni sulla privacy dei nostri account social impedirà a spammer, scocciatori o malintenzionati di farci perdere tempo e denaro.
Cancellare i vecchi account utente
Nei dati pubblicati nel World Password Day 2020, si stimava che il 37% delle persone intervistate non ricordasse quanti account possedesse. Di questi, il 20% asseriva di averne più di 5, mentre la media stimata di account ID e password ad utente è invece di 11 account diversi.
Fate mente locale: quanti account utente avete aperto negli ultimi 12 mesi, magari per effettuare un acquisto particolare o per scaricare la versione trial di un software?
Aprendo tutti questi account, avete probabilmente concesso lo sfruttamento dei dati personali per scopi commerciali o vi siete iscritti alla newsletter di quel sito o software house, ed a distanza di mesi ricevete puntualmente mail e spam.
Anche se non ricordiamo più quali password o addirittura indirizzo email abbiamo usato per iscriverci, tali account continuano ad esistere.
E’ dunque buona norma sapere quali account non abbiamo più intenzione di usare e cancellarli definitivamente.
La stessa cosa è possibile con vecchi account email e per i social network. Attenzione però, cancellare l’account significa anche cancellare i dati raccolti, e se vogliamo conservarli e salvarli, facciamolo prima di prendere una decisione definitiva.
Particolare attenzione infine a quegli account su cui abbiamo salvato i nostri metodi di pagamento preferiti.
Non condividete dati sensibili!
Sui social network è normale condividere foto e video che ci riguardino, e spesso lo facciamo senza davvero renderci conto di quante persone (e di chi) potrebbero vederle potenzialmente.
Una prima barriera è quella descritta sopra, ovvero una buon lavoro sulle impostazioni privacy del nostro account.
La tutela della nostra privacy digitale nasce però anche da noi. Quando facciamo una foto o un video, pensiamo sempre a cosa non vogliamo possa finire reso pubblico: da una password, ad un indirizzo di casa, ad un numero di telefono, ad un QR Code.
Fughe di informazioni personali che capitano anche a livelli insospettabili… non ci credete? Leggete qui.
Come regola principale, prima di condividere qualunque cosa, o prima di partecipare ad una videochiamata o a una diretta streaming, pensiamo alle potenziali conseguenze indesiderate di un eventuale leak di dati sensibili, o personali, che possa danneggiare la privacy digitale nostra e di altri.
Non tutti i filtri che permettono di modificare e pixelare alcuni elementi di un video o immagine sono a prova di bomba. Un esperto potrebbe ripristinare senza sforzo ciò che abbiamo tentato di rimuovere, per cui è sempre bene prevenire il problema.
Sulla privacy digitale: il GDPR
Dal 2018 l’Unione Europea si è munita del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati, un regolamento unico sulla tutela e trattamento dei dati personali e di privacy.
Uno strumento che consente agli utenti di conoscere e chiedere conto dell’uso che le aziende fanno dei nostri dati, quelli che condividiamo tutti i giorni.
Col GDPR è possibile ad esempio chiedere ed ottenere la rimozione di contenuti che ledano il nostro diritto alla privacy digitale, sebbene per adoperare tale strumento occorrano o conoscenze di termini legali e leggi, o l’aiuto di un legale esperto di diritto digitale.
Le violazioni dei nostri diritti digitali avvengono con grande frequenza: secondo il Global Privacy Report 2020 di Kaspersky sul livello di consapevolezza sul diritto digitale degli utenti, è emerso che:
- il 34% degli intervistati ha subito incidenti e violazioni di dati da parte di chi non aveva il consenso di accedevi
- quattro intervistati su cinque hanno chiesto la rimozione di contenuti online che riportino informazioni personali, da siti e social network
- un quinto degli intervistati consente ai browser sui loro dispositivi di salvare le password di accesso agli account, e circa il 50% di loro non sa come verificare casi di violazione
- infine, solo il 21% degli intervistati si dice davvero preoccupato dell’uso dei dati personali condivisi dalle App che utilizzano sui loro smartphone