Digital marketing, In principio fu lo SPAM.

Termine preso in prestito da una vecchia gag dei Monty Python che ironizzava sull’Inghilterra del dopoguerra, e che dagli anni 70 in poi divenne un’antonomasia in campo digitale per definire un messaggio promozionale non desiderato, inviatoci da un utente spesso ugualmente non desiderato, e soprattutto in quantità massicce.

Lo Spam dei Monty Python era una marca di prosciutto in scatola, facilmente reperibile e largamente consumata in UK negli anni post bellici, e la prima email spam della storia la mandò nel 1978 Gary Thuerk, a 393 utenti ARPANET (uno dei precursori di internet) diversi.

Invece di scrivere 393 messaggi pubblicitari diversi, Thuerk inviò lo stesso testo a 393 destinatari diversi.

Il risultato? Qualche utente seccato, ma anche più vendite del nuovo computer DEC: un tasso di conversione abbastanza elevato da giustificare la nuova strategia di marketing.

42 anni più tardi, metodi e filosofia del digital marketing si sono evoluti, internet ha cambiato le nostre vite, i social media le hanno connesse in modi che nel 1978 erano quasi impensabili, ma gli Spam si adoperano ancora.

E anche se i professionisti del settore non ve lo diranno mai, tutto ciò che è digital marketing oggi deriva…

dai Monty Python.

Le strategie di digital marketing che hanno fatto la storia, dal 1990 a oggi

Il termine digital marketing fu coniato negli anni ’90.

La sempre maggiore capacità dei computer di ricevere e archiviare dati su utenti, clienti e profili rese possibile memorizzare informazioni su scala globale.

Le pratiche aziendali di customer relationship management si evolsero dunque di pari passo, così come la competizione nel campo dell’advertising digitale e della “targetizzazione” (come la definiamo oggi) dell’utenza.

Email marketing, video marketing, social media marketing, content marketing, online advertising, SEO e SEM e tutti i canali moderni di promozione, brand awareness e pubblicità hanno le loro pietre miliari, quelle campagne rivoluzionarie e di successo straordinario che hanno definito la loro epoca e introdotto nuove tecnologie e filosofie.

Scopriamo dunque alcune delle strategie di digital marketing che hanno fatto la storia del marketing digitale, fino ai giorni nostri.

AT&T: la campagna “You Will” ed il primo banner pubblicitario

Nel 1994 l’americana AT&T creò il primo banner Ad cliccabile.

Una cosa mai vista prima anche in un’era in cui negli USA i personal computer erano già ampiamente diffusi. Per invitare gli utenti a cliccare effettivamente sul loro banner link, quelli di AT&T crearono un banner ad hoc con una scritta in colori vaporwave (ok, il vaporwave non esisteva ancora, ma gli anni ’80 si!):

Hai mai fatto clic qui col tuo mouse? Ora lo farai (You Will)” con tanto di freccia ad indicare “You Will” a scanso di equivoci.

Il banner portava l’utente su una landing page del sito della AT&T, che a sua volta aveva altri link ipertestuali esterni come musei e luoghi storici da visitare, ed alla scoperta delle nuove offerte dell’azienda.

Dove l’abbiamo già vista questa cosa? Ecco.

1998, nasce Google!

Uno dei primi motori di ricerca al mondo nacque nel 1994 e si chiamava AltaVista, che fu il primo search engine a consentire agli webnauti di cercare cose su internet usando un linguaggio naturale (tra i tanti sui primati).

Nel 1998 Google Beta vide la luce, col suo algoritmo innovativo (PageRank) ed i suoi crawler in grado di scorrere su è giù gli URL di milioni di risultati di ricerca al secondo.

Una tecnologia nativa, veloce e che funzionava, che avrebbe in poco tempo polverizzato la concorrenza.

Nel 2006, tra le altre cose, “to Google” (“googlare” se proprio dobbiamo…) è diventato un verbo e si è guadagnato un posto nell’Oxford dictionary. Un piccolo esempio di quanto Google sia diventato parte di noi. O di come noi siamo diventati parte di Google, ma questa è un’altra storia.

Nel 2004, Larry Page disse della sua creatura: “Vogliamo che usciate al più presto da Google, e finiate nel posto giusto nel modo più veloce possibile“. Oggi non è più così, e tutto nacque nel 1998.

Oggi, fare digital marketing significa scrivere e produrre contenuti affinché Google possa trovarti, classificarti e proporti agli utenti su una data chiave di ricerca. L’evoluzione delle pratiche e strategie SEO attende ogni semestre (più o meno) gli aggiornamenti dell’algoritmo di Google come se fossero il Giorno del Giudizio.

Toccherà al mio sito stavolta?

1999, Amazon si assicura la licenza “paga con un clic”

Nel 1994 Amazon vendeva libri, nel 1997 era già quotata in borsa, nel 1998 iniziò a vendere CD e cassette, e nel 1999 si accaparrò la licenza della tecnologia 1-Click, che consentiva ai clienti di comprare con un solo clic del loro mouse (niente smartphone, quelli erano ancora del tipo apri-chiudi…).

E non solo. La 1-Click consentiva ad Amazon di memorizzare i dati dei loro clienti per scopi di marketing, e risultò un vantaggio straordinario per la compagnia sulla concorrenza.

Barnes & Noble provò a copiarli, finì in tribunale, perse e fu costretta come tutte le altre a comprare la licenza da Amazon. Il brevetto è scaduto nel 2017.

2004, TripAdvisor e lo user-generated content

La guida Michelin è anche online, solo che si chiama TripAdvisor e nel 2004 mise in pratica un’idea che avrebbe potuto anche avere successo.

“Facciamo scrivere ai visitatori le recensioni di tutto quello che fanno, vedono, mangiano e bevono in vacanza, sul nostro sito”.

All’inizio, per la verità anche TripAdvisor si basava sulle recensioni degli esperti del settore per elencare alberghi, ristoranti, attrazioni turistiche e quant’altro.

Accanto a queste però gli sviluppatori introdussero un comando: “Visitors add your own review“.

Le recensioni fatte dagli utenti di TripAdvisor furono tra i primi esempi di user-generated content: impressioni e giudizi, ma anche immagini e video, e col nascere e crescere dei social network una rete di multichannel marketing che oggi è una delle spine dorsali del settore turistico mondiale.

Sull’onda del “lo posso fare anch’io”, sono nati, cresciuti (e morti) decine di travel blog e canali YouTube a tema.

La “moda” di dare voti e giudizi alle nostre esperienze di vacanza, svago e viaggio è iniziata su internet e – una volta tanto – è approdata in TV con programmi (fintissimi) che fanno del ludibrio al locale della sera prima il piatto (ahahah) forte.

La libertà degli utenti di postare e recensire qualunque luogo, azienda o servizio ha dato negli anni luogo a tante controversie, accuse e pratiche di recensioni pilotate, guide al turismo macabro, le immancabili polemiche sul trattamento e uso dei dati personali e email degli utenti.

TripAdvisor è però ancora oggi il sito di riferimento per i viaggiatori, anche con la concorrenza diretta di Google.

“Mi piace”, Facebook introduce il like button

Facebook nasce nel 2004, ma il “like button” non arrivò subito.

La possibilità di esprimere il nostro assenso formale ad un contenuto altrui tramite una reazione su Facebook ci venne data solo nel 2009, e più precisamente dal 9 febbraio.

Il social network di Mark Zuckerberg non fu in realtà il primo a usare il “mi piace”, che era già comparso anni prima su Vimeo, ma il like button impiegò davvero poco tempo a diventare un simbolo universale di Facebook.

Le emoji “Like\Love\Haha\Grrr\Wow\Sigh” arrivarono invece nel 2016.

Nel 2017 la possibilità di usare medesimo “trattamento” ai commenti degli altri utenti, oltre che ai post.

I like furono presto intesi come uno strumento di social marketing, grazie al quale raccogliere dati sugli utenti che interagivano sui post, profili e pagine tramite le reactions. Un metodo che già nel 2010 fu attaccato per presunte violazioni di privacy: i like vennero equiparati ad un beacon usato per tracciare gli utenti e raccogliere anche informazioni personali.

I social network e l’instant marketing

La TV, e prima di lei la radio ed i cartelloni pubblicitari sono stati i veicoli pubblicitari maggiori con cui abbiamo vissuto per così tanto tempo, che quando i social network sono diventati parte della nostra esperienza quotidiana, tante aziende hanno implementato le loro campagne ammiraglie al nuovo mezzo.

Quanti slogan potremmo citare? “Just Do it”, “Red Bull ti mette le aaaali”, “I’m Lovin’ It”, “Don’t ______ Without It”, “Shave like a bomber” sono nate in TV e poi trasportate, applicate, estese alla nuova audience, quella “nata digitale” dei like e dell’interazione.

I social network, Facebook in primis nel 2006, hanno colto presto l’opportunità di dare alle aziende la possibilità di fare marketing e configurarlo verso un’utenza personalizzata, sfruttando le incredibili capacità di data gathering e targetizzazione dei social.

Il messaggio si è così adattato al mezzo: non più promozione generica ma rivolta proprio a te, che segui e ti interessi di questo e quest’altro (ce lo hai detto proprio tu).

I social network sono ancora un territorio parzialmente inesplorato. La loro reattività è immediata e trasversale, ha cambiato il modo persino di fare informazione. Il segreto di buona parte delle campagne di marketing sui social media è il tempismo: catturare un evento potenzialmente epocale, e sfruttarlo a proprio vantaggio.

Negli Stati Uniti ad esempio, nel 2013 saltò la corrente durante l’evento TV più seguito al mondo: il Super Bowl NFL.

Oltre 30 minuti di blackout, su Twitter l’hashtag #BlackOut divenne così popolare che marketer e social media manager di alcune aziende presero la palla al balzo e crearono, ad esempio, questo:

Campagna marketing 2013 Oreo blackout
Instant digital marketing al suo meglio, la instant campaign di Oreo nel 2013

15mila retweet e 20mila like su Facebook in poche ore per Oreo.

Tide, produttore di detersivi americana, fu ideale seconda nel match di instant advertising che il blackout del Super Bowl creò, con questa campagna:

Campagna marketing 2013 Tide blackout
E l’esempio di Tide

Marketing virale: la Ice Bucket Challenge

Qual è la campagna di viral marketing di maggior successo di tutti i tempi?

Quella che nell’estate 2014 servì, una volta tanto, una giusta causa: la Ice Bucket Challenge (o ALS Ice Bucket Challenge) che raccolse (tanti) fondi per la lotta contro la SLA.

Tra il luglio e l’agosto 2014 il mondo del web impazzì per questa catena di Sant’Antonio solidale che partì da Salem, Indiana, e non si fermò più.

Oltre 220 milioni di dollari raccolti, più di 2.4 milioni di video diversi di altrettanti utenti che si cimentavano nell’impresa caricati su Facebook, tra cui celebrità di ogni tipo e categoria, e persino alcuni capi di governo (tra cui l’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi).

Bill Gates, Rafael Nadal, Rihanna, Cristiano Ronaldo, l’ex presidente USA George W. Bush, Tom Cruise, Oprah Winfrey, persino Adriano Celentano… insomma, tutti.

La frenesia delle secchiate d’acqua gelida in testa stimolò la fantasia di marketer e social media manager dei quattro angoli del globo, che si inventarono metodi sempre più creativi e unici di aderire alla sfida.

Tra i mille, ne citiamo uno significativo per sforzo, creatività e autoironia, quello dei Foo Fighters di Dave Grohl che citarono persino “Carrie, lo sguardo di Satana” in un cortometraggio di poco più di tre minuti…

Tra le campagne di marketing virale più riuscite di sempre, la campagna #LikeAGirl di Always, e quella di promozione di Baby Yoda, personaggio dell’universo di Star Wars e fenomeno meme del 2019 su internet.

Un esempio di “creatura sfuggita al controllo del suo creatore” è invece lo spot natalizio della Peloton, azienda produttrice di attrezzi per ginnastica e fitness che nel dicembre 2019 fu massacrata per una campagna tacciata di sessismo, e divenuta nota come “#PelotonWife

Il motivo? A Natale, un marito regala alla giovane moglie una cyclette, la donna ne rimane talmente ammaliata da impegnarsi con tutta sé stessa per mettersi in forma col nuovo regalo, e riprende i suoi progressi in una serie di clip video. Al Natale successivo, le clip sono diventate un video che la coppia guarda assieme, mentre lei lo ringrazia per il bel regalo: “Non avrei mai potuto immaginare quanto mi avrebbe fatta cambiare“.

La Peloton crollò in borsa di 9 punti dopo la messa in onda dello spot, l’attrice protagonista dello spot Monica Ruiz – disse addirittura che la sua interpretazione, fin troppo riuscita, fu la vera causa del messaggio distorto percepito dagli utenti, ovvero quello della partner insicura e preoccupata dal non deludere il marito.

Digital marketing multichannel: “Real Dove Beauty Sketches”, l’esempio della Dove

Frugando nella breve quanto ricca storia dell’advertising online e via social network, tra le mille proposte una è la più ricorrente e riconosciuta come un’espressione artistica applicata al marketing.

La campagna Real Dove Beauty Sketches della Dove, famosa azienda produttrice di cosmetici.

La campagna creata da Unilever (compagnia proprietaria del brand Dove) dura dal 2004, e nel 2013 – grazie ad un lavoro perfetto di differenziazione – era ancora virale su internet. Un esempio di longevità visto solo negli slogan storici delle grandi aziende.

La “campagna per la vera bellezza” nasce nel 2004 ed è uno degli esempi di marketing consumer-oriented meglio riusciti. Lanciata dapprima su cartelloni pubblicitari e quindi in TV, compreso un spot da 2.5 milioni di dollari all’intervallo del Super Bowl del 2006, nel 2013 la campagna approda sul web, con YouTube.

Il 14 aprile 2013 debutta “Real Dove Beauty Sketches”, un video di 6 minuti (poi ridotto a 3) per cui la Dove aveva ingaggiato un profiler della FBI per disegnare un identikit di alcune persone che avevano partecipato alla campagna in un loft di San Francisco, e che si dovevano descrivere da dietro un tendone.

La seconda parte dell’esperimento prevedeva che fossero queste persone, che si erano appena conosciute, a descriversi a vicenda secondo lo stesso metodo. I risultati dei due ritratti della stessa, mostra il video, sarebbero poi stati molto diversi.

Di grande impatto emotivo l’esperimento sociale, così come le reazioni genuine delle persone una volta notate le differenze nei ritratti, spesso quasi caricaturali nella versione “autobiografica” e molto più gentili e soprattutto fedeli nella seconda versione.

Dove campagna Real Beauty Sketches
Frame dello spot Dove Real Beauty Sketches

You are more beautiful than you think“, sei più bella o bello di quanto credi, uno slogan che si scrive da solo. Il video su YouTube divenne presto virale e totalizzò oltre 15 milioni di views in una settimana, che sarebbero salite ad oltre 30 nella sua versione da 3 minuti nei giorni successivi.

Su Facebook furono più di 660mila le condivisioni nei primi giorni di lancio dello spot.

Social Media Marketing, l’era degli influencer

Declinazione interattiva e digital dell’endorser, l’influencer è il veicolo di marketing del momento, coloro attraverso cui prodotti e brand vengono immessi sul mercato.

Più tangibile di un semplice testimonial, che cosa fa un web influencer?

La definizione professionale di influencer recita: un opinion leader dotato di carisma, autorevolezza, competenza, capacità di coinvolgimento e persuasione, che guadagna diffondendo e amplificando messaggi promozionali per conto di aziende e brand, in cambio di un compenso (da jobbydoo.it).

Il mercato legato agli influencer è cresciuto così tanto negli ultimi anni da rendere necessaria – ad esempio – una policy per i brand, che ne regolasse l’impiego, ed ha reso obbligatoria su Instagram la segnalazione “ufficiale” di post a scopi commerciali, segnalati tramite gli hashtag #adv e #sponsored quella di “paid partnership with”.

Una campagna di marketing che preveda l’impiego di un influencer può generare, se ben riuscita (quindi senza acquisto di follower o senza una targetizzazione dell’utenza), più impression sui post ed un return on investment (ROI) maggiore rispetto ai canali “classici” anche sui social media.

Il volume di mercato generato dagli web influencer non ha conosciuto crisi neppure nei mesi della pandemia, registrando solo una piccola flessione globale nel marzo 2020, se rapportata ai 12 mesi precedenti. In soli 4 anni, nei soli Stati Uniti il mercato dei social media influencer è cresciuto di quasi tre volte, dagli 0.8 miliardi del 2017 ai quasi 2.4 del 2020 su Instagram, il canale più sfruttato (circa il 79%) da influencer e brand.

Il futuro dell’influencer marketing? TikTok ed i TikToker, settore di mercato ancora giovane e per ora non regolato come quello di Instagram.

Chiedete a Mr Nathan Apodaca AKA doggface208 e alla Ocean Spray… ma anche ai Fleetwood Mac.