Quando si prova a definire il concetto di “posizione dominante” su un mercato, un esempio vale più di mille parole.
E’ quello che ha dimostrato un lungo studio di themarkup.org, che ha usato niente meno che Google per il suo test.
Quando facciamo una SERP, l’algoritmo di Google ci mostra davvero i risultati migliori che riesce ad analizzare, o c’è dell’altro?
C’è naturalmente dell’altro, come dimostrato dallo studio, qualcosa che ben spiega la posizione sempre più dominante di Google, anche nel web marketing.
Cerchi su Google, e trovi… Google
Quelli di theMarkUp si sono imbarcati nell’analisi di quindicimila ricerche recenti, tra le più gettonate, ed uno dei primi risultati dell’esperimento la dice lunga: il 41% dei risultati delle query totali mostrava ai primi posti e in prima pagina le “direct answer“, quelle domande (con risposte) correlate alla nostra SERP che Google ci propone ad ogni ricerca.
Risposte che il search engine “preleva” da siti terzi, e che riporta direttamente e senza disturbarsi a volte di citare espressamente la fonte (noi conosciamo questa sezione come “le persone hanno chiesto anche”).
La lista prosegue, con un box dedicato alle informazioni enciclopediche legate alla parola cercata (fondazione, dipendenti, fatturato, sede, una breve descrizione), con tanto di suggerimenti di ricerche correlate.
Spesso, ai primi posti delle SERP appaiono poi anche link video che rimandano a YouTube: tutorial o servizi di informazione, reportage video. YouTube è, come sapete, di proprietà di Google.
In sostanza, lo studio ha quantificato che per tutte le ricerche analizzate un utente doveva scorrere il 42% della prima pagina per trovare dei risultati che fossero davvero organici. La prima metà della pagina è occupata da link e voci che rimandano direttamente a Google e siti “Google owned and operated“.
Non qualcosa che sia passato sotto traccia, tra denunce di concorrenza sleale ed abuso di posizione dominante, e persino sanzioni salatissime da parte della Commissione Europea.
“Google guadagna di più, alla lunga, quando riesce ad abituare bene i suoi utenti: se direttamente dalla SERP trovi l’informazione che ti serve, non hai bisogno di andare su TripAdvisor, o su un sito di un ristorante. Google ti ha già dato tutto. Vittoria“, così Rand Fishkin, esperto SEO e fondatore di MOZ a the MarkUp.
Una pratica che ha danneggiato soprattutto gli operatori del settore turistico e della ristorazione: orari di apertura, contatti, orari e costi di voli e annunci sponsorizzati tramite Google Ads la fanno da padrone SERP dopo SERP.
E che dire di un vecchio arnese, ma ancora in uso, come Google Translate, che propone traduzioni simultanee in (quasi) tutte le lingue del mondo prima di proporci un link organico ad uno dei tanti dizionari online?
Piccoli esempi di una preponderanza sul mercato che spinge – altro vantaggio per la grande G – i siti e le realtà che non vogliono “andare sotto” e perdere troppo traffico, a campagne di Pay-Per-Click e a pagamento per posizionare “on top” il loro link.
Google, chi controlla la qualità delle informazioni?
Se il traffico web organico, quello che in teoria dovrebbe privilegiare i link di qualità, attendibili e autorevoli in ogni campo e per ogni SERP, viene di fatto spostato più giù da link che “educano” l’utente alla onniscienza di Google, che ne è della qualità?
Le informazioni che troviamo nella sezione “le persone hanno chiesto anche” sono davvero attendibili? I siti “Owned and operated” sono davvero i più attendibili, o sono lì solo perché cosa di Google? (risposta: si).
“E’ diventato davvero difficile capire da dove arrivino quelle informazioni“, così Dario Taraborelli di Wikimedia “Da dove arrivano le cose che leggiamo e apprendiamo?“, Wikipedia non è certo un sito “owned and operated”, ma “sta diventando sempre più difficile per i nuovi utenti capire che Wikipedia non è uno snippet di Google, ma una realtà indipendente“.
Google propone ad esempio spesso i testi delle canzoni (provate con la vostra canzone preferita…) prima di proporre i link a Genius o AZLyrics, attraverso il suo tool LyricFind.
In un mondo in cui il 91% degli utenti usa Google come motore di ricerca ogni giorno, le aziende dipendono per buona parte per il loro successo ai “buoni uffici” di Google, che come denunciano tanti esperti di settore interpellati da TheMarkUp, sta “divorando” interi settori.
Dal punto di vista del colosso di Mountain View, questo è l’unico vero indice di successo: uno strumento che dia agli utenti tutte le risposte che cercano, senza indagare oltre. E se proprio lo devono fare, che atterrino su un link che benefici di “corsia preferenziale”.
Un panorama molto diverso da quello disegnato dalle parole di Larry Page, che dell’azienda è il fondatore, e datate 2004: “Vogliamo che usciate al più presto da Google, e finiate nel posto giusto nel modo più veloce possibile“.
E oggi, volenti o nolenti, il posto giusto è sempre Google.